Se l’incontro col teatro non mi avesse scavato dentro, mostrandomi parti sconosciute e inesplorate della mia persona, riservandomi piacevoli sorprese ed emozioni nuove e forti; se davvero non avessi sentito il cuore scoppiare di vita nel conoscere e vivere quest’ arte, allora avrei già concluso questo viaggio. Un viaggio inatteso e intrapreso in un momento delicato della mia vita. Un viaggio ricco di sorprese, tappa dopo tappa. Un viaggio fatto di piccole e grandi scoperte, di conoscenze e di conquiste.
Un viaggio capace di cambiarmi la vita.
Per me il teatro è stato, e lo è tutt’ora, un grande strumento espressivo e creativo capace di “aprirti gli occhi” consentendo di conoscerti e di conoscere. Negli ultimi due anni, ovvero da quando ho calpestato quelle tavole di legno, ho sperimentato su quel palco una verità autentica dentro di me, ho vissuto con presenza e trasporto situazioni e stati d’animo mai provati prima. Dietro quell’apparente finzione scenica, si cela la verità di chi ha deciso di salire sul palco, di mettersi a nudo e di donarsi . Il teatro come strumento capace di stravolgermi a livello esistenziale ed umano. A guidarmi è la voglia di scoprire e di scoprirmi, il bisogno di esserci e di sentire. Il teatro mi permette di vivere una continua esperienza trasformativa, conoscitiva e di crescita esistenziale. Il teatro vissuto anche come mezzo per agire blocchi e paure che, affrontati e vissuti sul palcoscenico, dietro una maschera, subiscono un’analisi differente. Sperimentare nella finzione scenica le proprie paure attraverso l’appropriazione temporanea di un altro sé (quello del personaggio) può essere di grande aiuto, consentendo in un secondo momento di ritornare alla realtà quotidiana con una consapevolezza che prima non si possedeva .
Un altro grande dono che il teatro mi ha riservato è a livello relazionale, grazie alla nascita di legami affettivi con i compagni di scena e con l’insegnante. Ognuno di essi mi ha sorretta, accompagnata e guidata fino al palco, arricchendomi. Condividere insieme una passione, lo studio, la fatica delle prove, l’adrenalina e la gioia di andare in scena. Insieme. Vivere congiuntamente l’atto creativo, farsi guidare dal principio della coralità per raggiungere la meta finale e apprendere con gli altri e dagli altri.Fare teatro per stare bene con se stessi e con gli altri, sentirsi in armonia, riconoscersi e accettarsi. È la mia “terapia” per vivere meglio. Ed è proprio per aver sperimentato il carattere terapeutico che ho deciso di non fermarmi. Sorretta dalla mia personale esperienza mi sono posta una domanda: “l’arte come può realmente essere uno strumento di aiuto per l’individuo?”. Da qui è nato il bisogno di conciliare il mio percorso di studi con la mia esperienza sul palco e la conseguente scelta di svolgere il tirocinio post-lauream presso un ente che potesse darmi un’adeguata preparazione teorica e pratica in tale direzione. Il lavoro intrapreso in questi mesi presso l’ "Associazione Centro Internazionale CinemAvvenire” è stato ricco sul piano formativo, ma soprattutto umano. La possibilità di frequentare le lezioni e i laboratori previsti dalla Scuola di Art Counseling e la consultazione di materiali sull’arte terapia, mi hanno permesso di apprendere strumenti e competenze che hanno arricchito il mio bagaglio esperienziale e che spero di poter presto utilizzare sul campo. In un clima di accoglienza, di serenità e di sorrisi ho acquisito conoscenze di strumenti di intervento sociale atti a migliorare la qualità della vita, ho compreso maggiormente l’importanza del gruppo nel processo creativo raffinando altresì la mia capacità di lavorare in équipe, ho rafforzato la mia autostima e sono cresciuta a livello relazionale. La visione e la discussione corale di un film su un tema esistenziale mi hanno fatto scoprire la potenza della settima arte e del suo linguaggio. Cosi come accade sul palco quando si studia un personaggio, anche il contenuto di un film può essere strumento per conoscersi, riflettere su noi stessi, interrogarsi e crescere. Anche solo una piccola sequenza può “aprirti gli occhi” stimolando la riflessione e il confronto col gruppo intorno al tema prescelto nutre ogni singolo partecipante. L’ascolto attivo è stato approfondito grazie al laboratorio di counseling individuale, mentre la partecipazione al gruppo antropologico mi ha fornito gli elementi base per la conduzione di gruppi e per la gestione delle dinamiche relazionali che insorgono. Il confronto e la condivisione con gli altri ha migliorato la capacità empatica già sviluppata con il teatro.
In questi primi mesi di tirocinio mi è stata quindi offerta la possibilità di verificare come l’uso creativo dei vari linguaggi artistici possa realmente aiutare l’individuo a conoscersi meglio, a cogliere la bellezza della vita, ad intraprendere un percorso di crescita e di cambiamento. Lasciarsi trasportare dal processo creativo, abbandonarsi ad esso, innamorarsi e sentirsi così vivi.
Questa breve esperienza pratica conferma il mio bisogno di continuare su questa strada, di unificare le mie competenze psicologiche e artistiche affinchè possa maturare sul piano esistenziale e professionale ed essere in grado, in un futuro spero non troppo lontano, di poter aiutare l’altro a vivere creativamente. Voler guidare l’altro in un viaggio introspettivo e profondo di sè affinchè possa scoprire e scoprirsi, sviluppare fiducia verso se stessi, raggiungere una consapevolezza delle proprie risorse e dei propri bisogni, incrementare le competenze relazionali e sociali. Dare forma, attraverso l’uso attivo dei mezzi espressivi, ai suoi vissuti, al suo sentire e alle sue paure. Portare fuori quello che ha dentro e giungere così ad un equilibrio nuovo, ad uno stile di vita soddisfacente e creativo.
Vivere di arte, con l’arte e attraverso l’arte come nutrimento per sé e per gli altri.
Agnese Mobilia
Che cosa è la bellezza?
Secondo Umberto Eco “parliamo di Bellezza quando godiamo qualcosa per quello che è, indipendentemente dal fatto che lo possediamo. È bello qualcosa che, se fosse nostro, ne saremmo felici, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro.” (U. Eco, Storia della Bellezza, Bompiani)
Se parliamo della natura o del paesaggio, più o meno siamo tutti d’accordo su cosa è bello e cosa no.
Se parliamo del corpo, anche qui c’è un certo accordo generale, ma con qualche differenza importante.
Ci sono culture che considerano bello il corpo femminile quando è rotondo e abbondante; e culture che lo considerano bello quando è esile e magro. Coesistono nella storia almeno due ideali di bellezza femminile: uno è il modello della Venere greca che predomina ai nostri giorni; l’altro è quello della Venere paleolitica, grassa, con grosso seno e grosso sedere.
Ancora più complicato diventa il discorso se parliamo di bellezza spirituale o di bellezza artistica.
Noi diciamo che un individuo è bello dentro anche se può non essere bello fuori. Lo stesso Platone lo diceva di Socrate, che pare fosse bruttissimo, simile ad un Sileno.Ma, per un mussulmano estremista, ad esempio, un kamikaze che si prepara ad essere martire facendosi esplodere è bello dentro, mentre per noi non lo è affatto.
In casi come questi facciamo corrispondere la bellezza interiore all’etica e al sentimento dell’etica. Platone e Socrate dicevano che il Bello ed il Bene sono la stessa cosa. Ma poiché l’etica è diversa a seconda delle diverse culture, siamo al punto di partenza.
Sul concetto di bellezza è stato scritto tutto e il contrario di tutto.
Nel pensiero contemporaneo il concetto di bellezza è un concetto critico, perché si è preso coscienza della variabilità dell’idea di bellezza nella storia della cultura. Ciò nonostante gli esseri umani seguitano a ricercare la bellezza, anche se in forme nuove e spesso contraddittorie.
Secondo Antonio Mercurio “la bellezza è un campo potentissimo di energia magnetica che, quando ti passa accanto ti cattura …. Ti fa passare da un mondo conosciuto ad un mondo sconosciuto; da un mondo impossibile da abbandonare ad un mondo impossibile da conquistare … E’ un potere magico, il potere che ti da la bellezza estatica (da ex-stasi), diverso da quello che ti da la bellezza estetica …” (A. Mercurio, La vita come dono e la vita come opera d'arte spiegata in 41 film, S.U.R.).
Anche la seduzione ha qualcosa in comune con tutto questo. Sedurre, in senso positivo e non di ricerca di potere sull’altro, deriva da se-ducere, condurre a sé ma anche portare fuori di sé, fuori dal mondo conosciuto della quotidianità, dell’interesse e dell’abitudine per avventurarsi nel mondo dell’Altro, o meglio del Tu.Non è possibile definire la bellezza con precisione senza ricadere in una delle formulazioni storiche che sono state superate dal tempo. Anche la concezione di Bellezza del Rinascimento, che è stata l’epoca del trionfo della Bellezza, basata sull’armonia e la proporzione tra le parti ed il tutto, è parziale e inadeguata alla realtà di oggi.
Il concetto di armonia delle proporzioni ricorre in molte concezioni della bellezza. Pitagora è stato il primo ad esprimere una visione estetico-matematica dell’universo: “tutte le cose esistono perché riflettono un ordine; e sono ordinate perché in esse si realizzano leggi matematiche, che sono insieme condizione di esistenza e di bellezza.” (U. Eco, Storia della Bellezza, cit.).
Pitagora e i pitagorici studiarono le relazioni armoniose dei numeri e delle proporzioni nell’arte, e in particolare nell’architettura e nella musica.
“I rapporti che regolano le dimensioni dei templi greci, gli intervalli tra le colonne o i rapporti tra le varie parti della facciata corrispondono agli stessi rapporti che regolano gli intervalli musicali..” (U. Eco)
Nella musica i pitagorici portarono avanti esperimenti sulle relazioni tra i suoni di vasi riempiti in varie proporzioni d’acqua, sulle corde di diverse proporzioni di lunghezza e sui flauti di diverse lunghezze e con fori a diverse distanze.Tra gli scultori greci, Policleto ricercò un “canone”, una legge, una regola, per creare delle belle statue, scrivendo un trattato (oggi perduto). E’ un sistema che mette in relazione simmetrica e proporzionale le varie grandezze del corpo (carpo, metacarpo, dita, avambraccio, braccio, ecc.). Il suo Doriforo è considerato l’esempio concreto che Policleto volle lasciare del suo Canone.
La concezione delle relazioni armoniose ebbe lunga durata:
“Tutte le cose sono belle e perciò dilettevoli; e non vi sono Bellezza e diletto senza proporzione, e la proporzione si trova in primo luogo nei numeri” (Bonaventura da Bagnoregio, XIII secolo).
“La bellezza risulterà dalla bella forma e dalla corrispondenza del tutto alle parti, delle parti tra loro e di quelle al tutto” (Andrea Palladio, I quattro libri dell’architettura, Rinascimento)
Anche secondo il senso comune di oggi una cosa è giudicata bella se è ben proporzionata.
Ma il Barocco, il Romanticismo ed altri movimenti artistici e culturali, fino all’arte contemporanea, hanno dimostrato come la Bellezza possa esistere anche nella bruttezza, nel male e nel disarmonico.
Dove sta la verità?
Io penso che, senza dubbio, l’armonia abbia tanta parte nell’emozione estetica. Ma anche la disarmonia e la dissonanza possono darci le emozioni della bellezza, purché siano il risultato della ricerca di nuove forme di armonia.
Detto così sembra soltanto un ossimoro o un gioco di parole: disarmonia armoniosa. Ma se pensiamo alla sintesi di opposti (tra bene e male, tra amore e odio, tra luce ed ombra, ecc) forse comprendiamo un po’ meglio. E’ la sintesi in se stessa una sorta di nuova armonia, che riscatta la bruttezza e il male, senza nasconderli, rimuoverli o negarli, ma guardandoli in faccia e trasformandoli.
Anche l’armonia dei contrari è un concetto antico.
Anche per i primi pitagorici l’armonia consiste nell’opposizione: del pari e dell’impari,di limite e illimitato, di unicità e molteplicità, destra e sinistra, maschile e femminile, quadrato e rettangolo, retta e curva, ecc.
Ma sembra che per Pitagora e i suoi immediati discepoli, nella opposizione di due contrari, uno solo rappresenti la perfezione: l'impari, la retta e il quadrato sono buoni e belli, le realtà opposte rappresentano l'errore, il male e la disarmonia.
Diversa sarà la soluzione proposta da Eraclito: se esistono nell'universo degli opposti, delle realtà che paiono non conciliarsi, come l'unità e la molteplicità, l'amore e l'odio, la pace e la guerra, la calma e il movimento, l'armonia tra questi opposti non si realizzerà annullando uno di essi, ma proprio lasciando vivere entrambi in una tensione continua. L'armonia non è assenza bensì equilibrio di contrasti. (U. Eco)
La tragedia greca, secondo Nietzsche, deve la sua grandezza proprio alla capacità di fare la sintesi tra due opposti: l’apollineo e il dionisiaco (Cfr. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi).Cosa sono? Apollo rappresenta per i Greci la bellezza estetica armoniosa, il limite, la razionalità, il Kosmos, il logos, tutto ciò che è forma, linguaggio, immagine definita e chiara, schema, categoria, coscienza, regola, "misura“.
Dioniso al contrario rappresenta il dio del Caos e della sfrenata infrazione di ogni regola, tutto ciò che "ribolle" nell'inconscio, tutto ciò che è spinta vitale, flusso sovrabbondante di realtà, che si presenta come caos indistinto di stimoli reali e fantastici, interni ed esterni, di forze primordiali e abissali.
La tragedia greca, nata dai riti e dai cortei dionisiaci trasformati in forma teatrale, mette insieme i lati oscuri dell’uomo, propri del mondo di Dioniso, e la forma armoniosa di Apollo propria della poesia e della rappresentazione. Il coro della tragedia è la trasformazione del corteo dionisiaco e della sua musica orgiastica nella narrazione in forma poetica. Così come i personaggi e gli attori esprimono ed interpretano i drammi più oscuri dell’animo umano, rappresentandoli in forma poetica e contenuti dentro i limiti e le regole dell’arte.
Tutto questo crea nello spettatore terrore e tremore per gli aspetti terribili e mostruosi dell’animo umano; ma insieme crea anche meraviglia: per la loro forza terribile e perciò stesso sublime, come può esserlo una tempesta; e per come la bellezza e l’arte possono riscattare tutto ciò.
E crea la speranza della possibilità di trasformazione di quelle forze distruttive che lo spettatore riconosce essere anche dentro di lui, le quali sono aspetti dell’uomo e della natura che possono essere incanalati come forze ed energie vitali, così come l’acqua impetuosa può esserlo dentro gli argini di un fiume, diventando in questo modo amica dell’uomo e della civiltà.
La bellezza come polo di attrazione per l’evoluzione umana
Ma cosa spinge l’uomo a ricercare la sintesi degli opposti?
E’ un’altra delle caratteristiche e del potere del Sé. Sia la creatività come attitudine e capacità, che la bellezza come obiettivo da ricercare e come qualità da creare sono il frutto del dialogo tra l’Io ed il Sé.
Il Sé personale spinge l’essere umano a trasformarsi, a crescere e ad evolversi sviluppando e rendendo attuali tutte le sue potenzialità. E lo fa in collegamento con il Sé degli altri esseri umani (Sé comunitario, sociale e corale) e con il Sé (= progetto) della natura e dell’universo (Sé cosmico).
Questa spinta va in direzione di una sempre maggiore complessità, di una sempre più ampia relazione (= logos), di un ordine e di un’armonia superiori.
“Gli scienziati contemporanei che sostengono che è necessario dare un nome in positivo al motore dell’evoluzione, tendono a superare (non a negare, ma ad assumere per procedere oltre) il darwinismo” (V. Mancuso, L’anima e il suo destino).
Ha scritto Fritjof Capra: “Invece di considerare l’evoluzione naturale come il risultato di mutazioni casuali e di selezione naturale, stiamo cominciando a renderci conto del fatto che il dispiegarsi creativo della vita nella forma della molteplicità e complessità sempre crescenti è una caratteristica intrinseca in tutti gli esseri viventi. Benché si riconosca ancora il ruolo importante delle mutazioni e della selezione naturale nell’evoluzione biologica, l’attenzione si focalizza sulla creatività, sul protendersi costante della vita verso la novità.” (F. Capra, La rete della vita)
Ed io aggiungo: verso la bellezza.
Massimo Calanca